Consente o può? In un trattato internazionale, una errata traduzione, o una traduzione arbitraria, anche di una singola parola, può avere pesanti ripercussioni.
Un caso esemplare è stato il Trattato di Uccialli, un accordo di amicizia e commercio fra Etiopia e Italia, firmato il 2 maggio 1889 dal conte Ugo Antonelli, plenipotenziario italiano, e dal negus (titolo nobiliare corrispondente a quello di re) Menelik, da pochi mesi diventato imperatore d’Etiopia.
Il contesto storico è quello del colonialismo europeo di fine dell’Ottocento. Anche l’Italia era coinvolta nel processo di espansione coloniale e aveva già stabilito una presenza nel Corno d’Africa, nella zona che oggi è l’Eritrea. Obiettivo del Trattato di Uccialli era regolare i rapporti tra i due Stati, riconoscendo le recenti acquisizioni territoriali italiane in Eritrea. Da parte sua Menelik cercava un riconoscimento internazionale del suo recente potere sull’Etiopia.
Composto di 20 articoli, il trattato fu redatto in lingua italiana e amarica. L’articolo 17, che riguardava i rapporti internazionali dell’Etiopia, nella versione italiana stabiliva che l’Etiopia era obbligata a servirsi del governo italiano per le relazioni con le potenze straniere, rendendola di fatto un protettorato («Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenze o governi)». Nella versione amarica, il testo invece lasciava la possibilità a Menelik di avvalersi dell’Italia come intermediaria, senza alcuno obbligo («Sua Maestà il Re dei Re d’Etiopia può trattare tutti gli affari che desidera con altre potenze o governi mediante l’aiuto del Governo di Sua Maestà il Re d’Italia»).
«Né Antonelli né il ministero degli Esteri si curarono di fare un rigoroso raffronto tra i dei testi» scrive Indro Montanelli ne “L’Italia dei notabili”. «Per quanto i testi amarico e italiano non coincidessero (…), Antonelli non aveva mancato di dare a Menelik assicurazioni circa la irrilevanza specifica di questo articolo, che non avrebbe impegnato il negus a servirsi delle rappresentanze diplomatiche italiane» si legge ancora nella “Storia d’Italia” edita da Einaudi.
La divergenza tra le due versioni (voluta o fraintesa) generò un inevitabile conflitto diplomatico. La “versione” italiana dell’articolo fu subito interpretata dal governo Crispi come configurante un protettorato italiano e notificata in questo senso ai firmatari dell’atto finale del Congresso di Berlino del 1884-85. La notifica fu accolta dagli etiopi in modo pessimo, mostrando fin dall’inizio che più di qualcosa non andava nell’interpretazione dell’articolo.
In un crescendo continuo di ostilità – la difformità di interpretazione dell’articolo “incriminato” fu chiara nell’agosto dell’anno successivo, quando l’Etiopia strinse in maniera autonoma relazioni diplomatiche con l’Impero russo e con la Francia – Menelik prima protestò e quindi denunciò il trattato (1893), avviando così la catena d’eventi che portarono al conflitto italo-etiopico e alla nostra sconfitta (1896) ad Adua in seguito alla quale l’Italia dovette rinunciare alle sue pretese sull’Etiopia.
Che cosa rimane ai giorni nostri di questa vicenda “lost in translation”? Sembra incredibile, ma ancora adesso un fischietto, usato a carnevale, viene chiamato la “lingua di Menelik o Menelicche”, il cui nome dovrebbe rimandare, con maligna ironia, proprio alla vicenda dell’articolo 17 del Trattato di Uccialli, sposando ovviamente la versione italiana di un inganno a nostro sfavore. Dalla traduzione alla tradizione di carnevale.